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A buon intenditor… Giorgia Meloni e il “doppio livello” delle comunicazioni

Claudio Cozza

L’altro ieri Giorgia Meloni si è presentata alla Camera per le “comunicazioni del Governo al Parlamento”, in vista dell’importante Consiglio europeo del 26 e 27 giugno. Consiglio che cade in un momento di altissima tensione mondiale, in cui una possibile escalation del conflitto in Medio Oriente porterebbe a una situazione di instabilità politica ed economica con non si vedeva da decenni. Così queste comunicazioni rappresentano un’ottima sintesi di come il Governo Meloni legge e cerca di utilizzare la situazione internazionale.

L’efficacia propagandistica del discorso meloniano risiede in quello che in letteratura si definisce il “doppio livello narrativo”. Non una prerogativa esclusiva di questo Governo, anzi ci sono casi ben più eclatanti – vedi Trump – ma è innegabile che Meloni sia molto brava in questo. Di cosa stiamo parlando? Del fatto che il Presidente del Consiglio più “identitario” dell’Italia repubblicana è anche quello più pragmatico e concreto, soprattutto in economia. Una volta si sarebbe detto “democristiano”: fa quello che si deve fare. Non dimentica delle sue origini, Meloni infarcisce i suoi discorsi di riferimenti agli interessi patriottici e nazionali, salvo poi dichiarare esplicitamente azioni che non sono direttamente un riflesso di tali interessi, bensì mostrano un’attenzione a questioni economiche globali che l’Italia non governa minimamente, anzi subisce.

Vediamo qualche esempio di tale “doppio livello”. Retoricamente, l’Italia e gli italiani sono citati in quanto “la nostra Nazione non ha in alcun modo preso parte all’operazione militare” statunitense in Iran; e, subito dopo, per dire che “la nostra priorità è stata, ovviamente, la sicurezza dei nostri connazionali – civili e militari – presenti nella regione”. Ma la frase continua con “e l’esame dei possibili impatti securitari ed economici sull’Italia, a partire da quelli legati all’ambito energetico”.

Meloni inizia cioè il suo discorso ribadendo l’idea identitaria della difesa di patria e cittadini ma poi non può esimersi dal citare i veri interessi che da più di mezzo secolo devastano il Medio Oriente: ossia l’economia delle fonti fossili e dei relativi commerci. E infatti poco sotto chiarisce che sta “vagliando le ipotesi di risposta da parte iraniana e in particolare monitorando Hormuz, uno stretto strategico per le economie globali, capace di condizionare il prezzo del petrolio e dell’energia a livello mondiale. Ma, in ogni caso, ci siamo già occupati di assicurare all’Italia gli approvvigionamenti energetici necessari”. Ai cittadini e ai militari deve arrivare il messaggio di sicurezza, ma soprattutto agli industriali deve arrivare il messaggio che gli approvvigionamenti energetici non saranno toccati da questa nuova guerra!

Poi Meloni ribadisce che l’Iran non deve avere la bomba atomica e che “obiettivo prioritario” del Governo è il cessate il fuoco a Gaza, che passi dal disarmo di Hamas ma anche dal “ruolo preminente” che dovranno svolgere le Nazioni arabe. Sembra un discorso spiccatamente geopolitico, di parte (occidentale) ma anche con un occhio alla controparte (mondo islamico) come facevano i politici della Prima Repubblica. In sintesi, con la ripresa dell’idea di due popoli e due stati. Poi Meloni riferisce fieramente del “sostegno concreto alla popolazione di Gaza, sia in termini di finanziamenti stanziati sia di aiuti umanitari consegnati” da parte degli italiani, ringraziando in particolar modo “gli operatori umanitari, i medici e i paramedici che operano in prima linea nella Striscia”. E a noi già viene il dubbio che i volontari, che umanamente sono persone encomiabili, stiano in realtà in quei luoghi per altri scopi di lungo periodo…

E ce lo conferma subito dopo Meloni, quando dice che “oltre l’emergenza, se allarghiamo lo sguardo, noi cominciamo a vedere un Medio Oriente profondamente cambiato. Assad è caduto e abbiamo una nuova leadership a Damasco. Hezbollah è indebolito e il Libano ha una nuova dirigenza […]. La ripresa economica di entrambi i Paesi e la ricostruzione non solo delle infrastrutture, ma anche del tessuto sociale libanese e siriano, sono cruciali per gli equilibri di lungo periodo della regione e non solo della regione”. E poi: “ci sono, infatti, in tutto il mondo arabo, e in particolare nel Golfo, leader interessati a un futuro di pace e di opportunità economiche, che sono pronti a lavorare a un quadro regionale in cui Israele possa essere pienamente integrato, come un partner e non un nemico. Una regione proiettata nel futuro, che esporta tecnologia e ricchezza in luogo di instabilità e terrorismo”.

La ricostruzione è quindi il vero scopo della guerra, e in ciò gli italiani saranno davvero in prima linea: non gli italiani di sopra (quelli degli aiuti umanitari) ma altri (i big economici impegnati nella ricostruzione infrastrutturale ed economica). Ma pur sempre italiani, no? Anche se l’Italia “è impegnata nella ricerca di soluzioni serie e concrete e non è interessata alle speculazioni perché la difficilissima situazione che sta vivendo il Medio Oriente non lo consente”. Guai a dire che si voglia speculare! Excusatio non petita

Non a caso, l’argomento successivo di Meloni è rispetto all’Ucraina e anche qui, al di là di un generico riferimento alla sua difesa e alla pressione sulla Russia, dopo poche righe si ribadisce che l’Italia intende “continuare a sostenere l’Ucraina nella sua legittima autodifesa, ma anche nella prospettiva della ricostruzione, una delle più importanti scommesse sul futuro di questa Nazione come una Nazione libera, prospera e sovrana. Il 10 e 11 luglio ospiteremo a Roma l’Ukraine Recovery Conference e in quella sede torneremo a ribadire il nostro impegno per garantire al popolo ucraino un futuro di pace e di benessere. È una sfida ambiziosa, che possiamo vincere solo se riusciamo lavorare insieme e a mobilitare il settore privato”.

Come sopra: l’azione politica viene dichiarata come funzionale agli ideali di patrie, nazioni e amenità varie; ma poi, ciò che conta veramente, è la possibilità che il capitale privato riprenda ad accumulare, e la ricostruzione dopo la guerra ha precisamente questo scopo. E quindi anche la guerra stessa ha soprattutto questo scopo, al di là delle frizioni nazionalistiche e religiose che certo possono avere una lunga storia ma vengono artatamente alimentate in tutto il mondo. Con eccessiva enfasi sul ruolo delle “nazioni” alimentata a volte anche da chi si dice critico di questa società capitalistica.

Perlomeno dalle prime guerre imperialiste di fine ‘800 (come risposta alla prima crisi economica globale del 1873) e ancor più con le due guerre mondiali, lo scopo dei leader internazionali è soprattutto quello di distruggere tutto il capitale in eccesso che è stato prodotto. Eccesso di capitale inteso in termini di troppe merci, di infrastrutture fisiche e anche di popolazione in eccesso, se la vediamo marxianamente come “capitale variabile”. Perché se la sovraproduzione capitalistica è andata troppo oltre, nessun nuovo investimento sarà effettivamente possibile e le occasioni di profitto languiranno.

Ma se si distrugge ampiamente (come sul territorio italiano nel 1943-1945), poi c’è margine per un’ampia ricostruzione (come in Italia negli anni ’50) che porta a una nuova grande accumulazione di capitale (come in Italia con il boom del “miracolo economico” di inizio anni ’60); in attesa che questa accumulazione torni a essere eccessiva su scala globale e che l’economia si inceppi di nuovo (come in tutto il mondo, e quindi anche in Italia, a partire dagli anni ’70 del Novecento).

Molti altri passaggi richiamano questo approccio economico del Governo, nelle comunicazioni del 23 giugno, spaziando dalle relazioni con i paesi dei Balcani e dell’Africa (cosiddetto “Piano Mattei”) alla difesa dell’industria italiana ed europea dell’automotive, fino al sostegno delle piccole e medie imprese, e così via. Quindi il discorso economico, nascosto sotto quello patriottico identitario, permea tutto l’approccio meloniano e a chiunque è possibile leggerlo chiaramente sul principale punto sul quale noi oggi lottiamo: la spesa per il riarmo.

Spesa che, dice Meloni, ha “ricadute che vanno molto oltre la questione della difesa in sé, perché coinvolge le dinamiche economiche e commerciali, ovvero, in poche parole, la possibilità stessa di difendere appieno i propri interessi nazionali. Se non sai difenderti non decidi, se non decidi non puoi considerarti pienamente libero”. Cosa sono gli interessi nazionali, cos’è la libertà, se non la possibilità di prendere decisioni economiche a favore dei capitali basati nella propria area di riferimento (Italia, Europa, Occidente) e contro i capitali basati altrove? Ma quindi, cos’è la guerra in Medio Oriente se non il tentativo di fare spazio a quel corridoio produttivo/commerciale/infrastrutturale che dall’India e attraverso Israele dovrebbe arrivare all’Europa (corridoio IMEC, India-Middle East-Europe Economic Corridor), e soprattutto concorrente all’originale corridoio cinese BRI (Belt and Road Initiative) o cosiddetta “nuova via della seta”?

Per questo, se vogliamo capire come ragiona questo governo, dobbiamo sforzarci sempre di scorgere nei discorsi di Meloni, più ancora che di altri politici, il “doppio livello narrativo”. Partire, contestandolo, dall’approccio nazionalistico e identitario che la caratterizza in quanto proveniente dal mondo dell’estrema destra. Ma poi cogliere anche la sua “maturità politica” in quanto capacità di tenere fermo l’interesse economico (europeo ed occidentale, nell’economia globale, più che meramente italiano) in tutte le decisioni prese anche e soprattutto in ambito UE e NATO.

Meloni non può non partire dal discorso politico identitario ma arriva sempre, nel giro di due frasi, a quello economico sostanziale. Si vede che ha fatto tesoro dei tempi in cui, da giovane, dopo le identitarie assemblee alla sezione di Colle Oppio finiva passeggiando fin fuori all’auletta occupata della Facoltà di Economia della Sapienza dove, origliando, qualche spunto marxiano di come funziona davvero l’economia l’ha potuto afferrare… O forse riceve soltanto le “giuste” imbeccate.

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