Traduciamo un testo di Ugo Palheta, sociologo e condirettore della rivista online Contretemps, scritto alcuni giorni dopo la morte di Jean-Marie Le Pen il 7 gennaio 2025. Palheta traccia le tappe politiche più importanti dello storico leader francese del partito di estrema destra Front National, spiega il modo in cui le idee sono diventate senso comune sia nella politica (anche tra la cosiddetta sinistra) che nella società francese e riflette su una strategia antifascista aggiornata alla crisi attuale.
***
Jean-Marie Le Pen è morto. I partiti di destra e la maggior parte dei media mainstream sono indignati dal fatto che così tante persone possano festeggiare la scomparsa di un leader fascista. Ma questi e questi stessi che si indignano sono quelli che continuano a normalizzare l’estrema destra.
Sostengono che, sebbene Le Pen abbia fatto alcune dichiarazioni riprovevoli e sia stato una figura “controversa” che ha avuto alcuni “scivoloni”, ora dovrebbe essere rispettato come parte della storia politica del Paese. Altri, che fanno parte della costellazione dei media Bolloré1, si spingono oltre, descrivendolo come un “annunciatore di pericoli”, se non un “profeta”, che poneva le “giuste domande” o “prevedeva ciò che sarebbe accaduto”, e si impressionano della costanza delle sue “convinzioni” o della sua “immensa cultura”2.
Sicuramente a breve saranno pubblicati dei buoni necrologi e le sue “battute” più violentemente razziste, maschiliste o omofobe saranno senz’altro largamente diffuse. Ma si trascureranno probabilmente quegli aspetti meno facilmente assimilabili nell’ideologia dominante. Un’ideologia in cui la demonizzazione di Jean-Marie Le Pen ha svolto un ruolo cruciale, garantendo alle dimensioni più istituzionali e strutturali del razzismo di rimanere nascoste e occultando quel che hanno fatto i partiti e i media mainstream per favorire l’ascesa del lepenismo.
Il diavolo della Repubblica?
Nella Francia degli anni ’80 e ’90, buona parte della sinistra e dei movimenti antirazzisti e antifascisti – compresi i satelliti del Partito Socialista come SOS Racisme – presentava il razzismo e la xenofobia anti-immigrate/i come fossero dei virus ideologici iniettati dall’esterno nel legittimo gioco politico – se non nella società francese – dal Front National (FN) e, in particolare, dal suo leader Jean-Marie Le Pen: virus che servivano a dividere la classe operaia facendo appello ai pregiudizi arcaici di una parte del popolo francese e fornendo un facile capro espiatorio durante un periodo segnato dalla disoccupazione di massa e dalla crisi sociale.
In quella fase, la figura di Jean-Marie Le Pen era diventata comoda, perché permetteva di proiettare i tratti di un’intera società (Fanon diceva che “una società o è razzista o non lo è”) su un singolo individuo e su un partito i cui legami con il fascismo storico erano ancora evidenti, e di limitare pericolosamente il razzismo, il maschilismo o l’omofobia a quell’individuo e al suo partito. Si sarebbe potuto dire che altri – all’epoca, in particolare Jacques Chirac, quando nel 1991 sproloquiava sul “rumore e l’odore” delle persone nere e di quelle musulmane – stavano cercando di “imitare Le Pen” per ottenere voti, ma questo non ha portato ad alcuna riflessione o messa in discussione del razzismo come produzione istituzionale e del ruolo cruciale svolto dai partiti dominanti.
La demonizzazione di Le Pen non ha fermato la diffusione del lepenismo, è piuttosto servita come valvola di sfogo. Ha così permesso di nascondere la portata e la sistematicità del razzismo nella società francese, in modo da non dover cambiare nulla di fondamentale nella struttura sociale o nel funzionamento delle istituzioni, se non esorcizzare lo spettro del fascismo, con la mano sul cuore durante le tornate elettorali. In questo modo, Le Pen e il FN sono stati dunque lo strumento della grande rimozione della questione della supremazia bianca in Francia, in modo ancora più efficace in quanto c’era un’infinità di buone ragioni per denunciare Le Pen e temere l’ascesa del FN: questo lavoro di rifiuto o elusione impresa di negazione o di evasione poteva così vestire i panni del notoriamente facile atteggiamento del “mai più”.
Ma il quadro è chiaramente molto diverso se consideriamo il razzismo, e soprattutto il razzismo coloniale, come uno degli aspetti principali della costruzione dello Stato francese (nel contesto della Repubblica imperiale prima e neocoloniale dopo), come un asse centrale dell’egemonia borghese e come un fondamentale meccanismo di divisione all’interno della classe delle sfruttate e degli sfruttati. Lo stesso vale per le dichiarazioni indubbiamente antisemite di Le Pen: è difficile capire perché ciononostante il FN abbia raccolto ben il 17% dei voti alle elezioni di 2002 se non si considera che nella società francese (e più in generale nelle società europee) permane un antisemitismo molto resistente e radicato.
Per riprendere e capovolgere la metafora medica, che ovviamente ha i suoi limiti, Le Pen non è più il nome del virus, ma uno dei sintomi più visibili di una malattia di cui le società europee soffrono da molto tempo, e in modo particolarmente virulento un vecchio imperialismo in declino come quello francese.
Questo rende più facile comprendere uno dei punti di forza dell’estrema destra. Essa può presentarsi e apparire come una forza di opposizione, “antisistema” o “politicamente scorretta”, perché i suoi leader sono stati per un certo periodo gli unici a rivendicare in modo esplicito ciò che rimaneva implicito ed eufemistico nella politica dominante e perché sono stati per questo demonizzati dai partiti e dai media mainstream – anche se è vero che non è più così, come dimostra chiaramente la condiscendenza dimostrata in questi giorni verso di Jean-Marie Le Pen.
Ma allo stesso tempo, questa forza è in piena continuità con l’ordine socio-razziale dominante: trovando comodamente posto nel senso comune nazional-razziale e propriamente coloniale della Repubblica francese e della sua élite politica, il FN prima e Rassemblement National (RN) dopo hanno potuto affermarsi non più come partito-paria bensì come il ramo più determinato del nazionalismo francese, l’espressione politica di chi, dal basso, vuole fare di tutto per “restare a casa propria in Francia” e, dal punto di vista della borghesia, come possibile utile ripiego nell’attuale situazione di ingovernabilità.
Le Pen contro Le Pen?
Quando trattano della politica, i “grandi” media e i giornalisti mainstream amano soprattutto i conflitti personali, i “battibecchi” e le “battute”: tutte cose che possono essere facilmente tradotte nel linguaggio banale delle ambizioni deluse o delle complicità tradite, che è la materia prima della stampa “people”. Il disprezzo del pubblico nei confronti del dibattito tra idee fa parte dell’ideologia professionale dei giornalisti “politici”, che riducono costantemente le discussioni e le divergenze politiche a tensioni interpersonali o a una corsa per questa o quella posizione di poco valore.
Da questo punto di vista, la rottura tra un padre e sua figlia a capo di un partito sulfureo non poteva che apparire come una sorta di benedizione; bisognerebbe contare quante delle interviste degli ultimi dieci anni hanno posto domande a Marine Le Pen o a suo padre su come si sono “sentiti” al momento dell’esclusione di quest’ultimo dal partito da lui fondato più di 40 anni fa, su come hanno “vissuto” questo “dramma” personale e familiare, ecc. Ma a questa lettura sconcertante era collegata un’idea semplice e falsa, che si inseriva perfettamente nella strategia di “de-demonizzazione” di Marine Le Pen: quella di una linea dura, intransigente e per certi versi fuori moda (perché attaccata alle vecchie manie dell’estrema destra degli anni tra le due guerre o dell’immediato dopoguerra) incarnata dal padre, contrapposta a una linea moderata, responsabile e moderna rappresentata dalla figlia.
Così come, nel 2022, la presenza di Zemmour – e il suo profilo politico quasi interamente incentrato su una esplicita posizione razzista e, in particolare, islamofoba – ha permesso a Marine Le Pen di apparire come una figura rassicurante per una parte dell’elettorato tradizionale di destra, allo stesso modo, a metà degli anni 2010, la rottura con Jean-Marie Le Pen è stata il modo migliore per dare corpo all’idea di un “nuovo FN”, presto ribattezzato Rassemblement National (Raduno nazionale). E non si può dire che i commentatori dei media siano stati molto attenti o molto preoccupati di mettere Marine Le Pen di fronte a eventuali contraddizioni, nonostante al congresso di Tours del 2011 (che la consacrò nuova presidente del FN) dichiarasse: “Prendo su di me tutta la storia del mio partito. La sua storia è un insieme unico, quindi prendo tutto!”.
Se avessimo scavato un po’ più a fondo, saremmo stati in grado di misurare a che punto il passaggio di consegne tra padre e figlia riflettesse non tanto un cambiamento nella “natura” del FN/RN o nella sua strategia complessiva, quanto piuttosto una divergenza di tattica politica. Il vero cambiamento apportato da Marine Le Pen è stato essenzialmente quello di abbandonare tatticamente tutto ciò che poteva apparire come un ostacolo alle sue ambizioni presidenziali, in particolare gli aspetti più esplicitamente antisemiti e negazionisti dei discorsi di estrema destra – pur avendo sostenuto per quasi tre decenni, ricordiamocelo in ogni occasione, le dichiarazioni del padre –, per mettere in primo piano il “problema dell’islam”. Integrando l’islamofobia non solo ha radicalizzato la retorica solitamente xenofoba del FN, ma ha anche operato una ridefinizione “repubblicana” del discorso frontista, consentendo di inserirlo armoniosamente nell’islamofobia mainstream.
Se l’illusione di una profonda trasformazione del FN ha potuto affermarsi, questo è avvenuto grazie sia a un’ampia diffusione dell’islamofobia, che tende a rendere accettabile l’odio verso le persone musulmane o il sospetto che esse vogliano “infiltrarsi nella Repubblica” per garantirsi posizioni di dominio, sia al discorso pubblico che dagli anni ’70 in poi ha fatto dell’immigrazione e delle persone immigrate un “problema” da risolvere. L’instaurazione di un doppio consenso xenofobo e islamofobo, unito all’affermazione di una “nuova laicità” che permette di stigmatizzare le persone musulmane in nome della difesa della “Repubblica”, tende quindi a legittimare a priori tutte le esternazioni più apertamente razziste del FN, almeno quando prendono di mira le persone immigrate o discendenti di immigrate/i – e più in generale chiunque sia musulmano o percepito come tale.
Va anche notato che l’antagonismo tra padre e figlia non è scoppiato nel maggio 2014 quando Jean-Marie Le Pen – riferendosi al presunto “rischio che la Francia venisse sommersa dagli immigrati” e alludendo all’epidemia che allora aveva colpito il continente africano – affermò: “Monsignor Ebola può risolvere il problema in tre mesi”. All’epoca, questa affermazione non suscitò alcuna condanna da parte della leadership del FN o della sua presidente; al contrario, la sostenne. Allo stesso modo, l’esclusione di Jean-Marie Le Pen non ha in alcun modo portato Marine Le Pen o altri attuali leader del FN/RN a smorzare la loro retorica sulla presunta “invasione migratoria”, la cosiddetta “occupazione della Francia da parte di una popolazione straniera” o “colonizzazione al contrario”, che porterebbe alla distruzione o alla scomparsa della Francia.
Ma questo profetismo xenofobo e islamofobo come avrebbe potuto contraddire la tesi mediatica di un RN diventato rispettabile visto che proprio la stragrande maggioranza del personale politico e mediatico mainstream condivide l’idea di un “separatismo musulmano” e dell’“infiltrazione islamo-gauchiste”3, e visto che la retorica (presa in prestito dall’estrema destra) della “decivilizzazione” e della “barbarizzazione” appartiene anche le vette più alte dello Stato?
Un militante del colonialismo francese
Uno degli aspetti della traiettoria di Jean-Marie Le Pen – e di tutta l’estrema destra francese4 –, che viene troppo rapidamente liquidato nella narrazione mediatica dominante e che passa quasi sempre sotto silenzio, è il suo radicamento nel colonialismo francese e la sua partecipazione attiva alle guerre per conservare il dominio coloniale francese in quella che allora veniva chiamata “Indocina” e in Algeria.
In genere si ricordano le dichiarazioni antisemite e negazioniste di Jean-Marie Le Pen; è già più raro che si ricordi che molti dei fondatori originari del FN erano stati petainisti5, collaborazionisti e membri delle Waffen SS, perché creerebbe problemi in un momento in cui tutta la destra – Macronie6 compresa – sta cercando un accordo, più o meno tacito in questa fase, con il FN/RN. Ma ciò che si dimentica quasi sempre di sottolineare è la numerosa presenza di militanti e simpatizzanti dell’Organisation Armée Secrète (OAS)7. Come sottolinea lo storico Fabrice Riceputi, questa è l’organizzazione terroristica che ha commesso di gran lunga il maggior numero di attentati nella storia francese.
Inoltre, nel percorso militante e politico di Jean-Marie Le Pen, le guerre d’Indocina e d’Algeria hanno certamente avuto un ruolo più rilevante che la collaborazione con gli occupanti nazisti, ma solo perché Le Pen è nato troppo tardi per collaborare. È vero che questo non gli ha in nessun modo impedito di stringere amicizie molto durature con noti collaborazionisti, di diventare il portavoce di un sostenitore di Pétain – l’avvocato Jean-Louis Tixier-Vignancour – durante la campagna presidenziale di quest’ultimo nel 1965, o di pubblicare canzoni naziste per la gloria delle SS e di Hitler nell’ambito della società di edizione musicale che ha creato e gestito negli anni Sessanta, durante gli anni di magra per la sua formazione.
Sono tre i motivi per cui la difesa del colonialismo francese ha giocato un ruolo fondamentale per Le Pen: in primo luogo, come esperienza politicamente formativa in cui ha iniziato a impugnare le armi (in senso letterale e figurato) e che gli ha conferito una sorta di aura negli ambienti dell’estrema destra (dal momento che fece parte del prestigioso reggimento dei paracadutisti); in secondo luogo, in quanto è stato l’impegno per la difesa dell’Impero che ha permesso all’estrema destra di uscire dalla completa marginalità in cui l’aveva confinata la collaborazione con le forze di occupazione, anche se i risultati furono all’epoca disastrosi, con la vittoria dei movimenti di liberazione nazionale in Indocina e in Algeria; in terzo luogo, perché Jean-Marie Le Pen ha potuto ed è stato capace di trasferire abilmente il razzismo coloniale, in particolare il razzismo anti-arabo, nell’arena politica francese. Questo razzismo infuriava in mille modi sulla vita quotidiana delle persone immigrate algerine, fino all’assassinio di centinaia di loro il 17 ottobre 1961, ma è stato Le Pen più di chiunque altro a trasformarlo in un’efficace arma politica ed elettorale.
Forse ci sarebbero meno dubbi sulla natura fascista di Le Pen e della sua corrente politica se smettessimo di separare il fascismo dalla questione coloniale, se prendessimo più seriamente in considerazione la violenza dell’impresa coloniale francese (in particolare in Algeria) e del razzismo ad essa associato, soprattutto nel modo in cui ha permeato il corpo sociale francese. Avremmo forse così dato meno credito alla stramba tesi “immunitaria”, secondo la quale la Francia sarebbe rimasta “intollerante al fascismo”, soprattutto grazie ai suoi valori repubblicani, una tesi, questa, più o meno equivalente all’idea che la nube radioattiva di Chernobyl avrebbe avuto la decenza di rimanere al di là dei confini francesi.
Avremmo anche potuto cogliere che la rottura retorica e tattica del FN/RN di Marine Le Pen con l’antisemitismo coesisteva con la focalizzazione sull’islamofobia, che in Francia funziona come un “razzismo rispettabile”, legittimo perché legittimato da decenni di laicismo falsificato e di discorsi che ritraggono l’Islam e le persone musulmane come una minaccia per la Francia e/o la Repubblica.
Oltre l’anti-lepenismo
La stragrande maggioranza di coloro che hanno festeggiato la morte di Le Pen probabilmente non si fanno illusioni sugli effetti della sua scomparsa. È stata una morte attesa e sperata, perché c’era qualcosa di esasperante nel vedere sopravvivere così a lungo e in una tale opulenza un torturatore di algerini, un assiduo promotore del razzismo, del maschilismo e dell’omofobia, l’uomo che è riuscito a dare al progetto fascista un seguito di massa nella società francese. In questo è stato aiutato dalle politiche neoliberiste che hanno incrementato tutte le forme di competizione nella società francese a partire dagli anni Ottanta, ma anche dalla deriva della destra, che ha radicalizzato il suo elettorato, e dai tradimenti della sinistra, che ha smobilitato il proprio.
Le Pen ha saputo cogliere l’opportunità che si è aperta con la crisi della rappresentanza politica iniziata negli anni Ottanta, non solo perché allora c’era un vuoto, bensì perché ha saputo trovare la strada di una politica di massa, partendo dalla visione del mondo propria dell’estrema destra. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che dovrebbe essere più importante per noi: non le dichiarazioni spregevoli fatte da Jean-Marie Le Pen nel corso della sua lunga carriera, che avevano lo scopo di provocare e permettergli di tornare ogni volta al centro del gioco politico, ma il modo in cui è riuscito a trasformare l’ossessione nazionalista, il risentimento razzista e la nostalgia coloniale in una forza politico-elettorale. Questo è ciò che rimane vivo nella politica del FN/RN, indipendentemente da quanto esplicitato nel programma elettorale del partito, che la sua dirigenza dimenticherà appena giunta al potere.
Questo indica la sfida principale per la sinistra, in Francia e non solo: trovare (o riscoprire) la via per una politica di massa. Da questo punto di vista, l’anti-lepenismo in senso stretto è un vicolo cieco. In questa fase del suo sviluppo, l’estrema destra non può essere affrontata solo in questa forma strettamente reattiva e difensiva, sia che si tratti di un antifascismo “repubblicano” (che aspira a difendere le istituzioni contro i fascisti e pretende che le istituzioni ci difendano dai fascisti), sia che si tratti di un antifascismo più radicale, il cui obiettivo principale è impedire ai fascisti di apparire pubblicamente e di costituirsi come forza militante.
Non vi sono dubbi che, se i fascisti cercano di insediarsi a livello locale (in un quartiere, in un paesino, in una città, in un’università, in un’azienda o in un’associazione), è fondamentale sbarrare loro la strada attraverso mobilitazioni le più ampie e determinate possibili. Ma, nel momento in cui l’estrema destra è alle porte del potere, quando per una fetta significativa della popolazione rappresenta la principale forza politica in grado di porre fine alla grande impresa di brutalizzazione macronista, non possiamo respingerla senza contestargli questo ruolo, senza proporre una soluzione alla crisi politica, insomma senza candidarci al potere sulla base di una piattaforma di rottura con l’ordine socio-razziale dominante. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare nei mesi e negli anni a venire.
- Bolloré è una holding francese fondata nel 1822 attiva nei trasporti, nella logistica e soprattutto nella comunicazione. È stata coinvolta in diversi casi di attività economiche illegali, frodi e legami dubbiosi con la politica dominante (ndt). ↩︎
- Il che non è vero, tra l’altro, perché Jean-Marie Le Pen è stato per tutta la vita un vanitoso ignorante, che arrancava con i pochi elementi di cultura classica imparati a memoria nelle scuole dei gesuiti dove era stato scolarizzato precocemente, e che si è trovato più a suo agio con un repertorio che va dagli scrittori fascisti (soprattutto Brasillach) alle canzoni sconce che con la filosofia o la letteratura (classica o contemporanea). Per farsi un’idea, si veda: Michel Eltchaninoff, “Quand Jean-Marie Le Pen parlait de philosophie”, in Philosophie Magazine, 7 gennaio 2025. ↩︎
- L’islamo-gauchisme è un neologismo che si riferisce alla presunta vicinanza tra ideologie, personalità o partiti di sinistra e ambienti musulmani o addirittura islamisti. Termine “inventato” nel 2002, in Francia è stato inizialmente utilizzato e diffuso soprattutto dagli ambienti di estrema destra; oggi viene applicato per insultare politicamente che non si allinea al senso comune islamofobo (ndt). ↩︎
- Questo vale, per altri versi, per la maggior parte della politica francese, fino alla socialdemocrazia, che, in Francia, è stata indecorosamente coloniale (fino ad oggi, il che è strettamente legato all’atteggiamento dell’attuale Partito Socialista nei confronti della questione palestinese). Ricordiamo, in particolare, il ruolo di François Mitterrand durante la guerra d’Algeria, quando fu ministro della Giustizia durante la grande repressione d’Algeri, e in quanto tale autorizzò l’esecuzione di 45 militanti algerini del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), opponendosi all’80% degli appelli di clemenza. ↩︎
- Che si riferisce a Henri-Philippe-Omer Pétain, generale e politico francese che tra il 1940 e il 1944 è stato a capo del governo collaborazionista di Vichy (ndt). ↩︎
- La parola Macronie è un neologismo usato perlopiù in modo peggiorativo a partire degli anni Dieci del 2000 per descrivere il governo francese sotto la presidenza di Emmanuel Macron, le sue politiche antipopolari e, più in generale, il mondo politico e imprenditoriale aderente alle sue politiche (ndt). ↩︎
- L’OAS è stata un’organizzazione clandestina e terroristica francese in cui si trovano compromessi membri dell’esercito francese regolare e che si richiama all’estrema destra. Fu costituita agli inizi dell’anno 1961, quando una serie di vicende politiche iniziavano a far presagire l’indebolimento del controllo coloniale francese sull’Algeria. Il suo intento era “difendere” la presenza coloniale in Algeria, rivendicata come parte costitutiva del territorio francese, con mezzi terroristici su larga scala diretti anzitutto contro la popolazione algerina ma non solo (ndt). ↩︎