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Operazione DeepSeek. O dell’arte di arrangiarsi

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Nella giornata di lunedì 27 gennaio scorso i mercati finanziari e in particolare i listini tecnologici sono stati travolti dal ciclone DeepSeek, la start up cinese che ha rilasciato modelli di AI con prestazioni simili a quelli dei competitor a stelle e strisce ma ottenuti con costi enormemente più bassi. In una sola seduta il Nasdaq ha perso più del 3% e la sola Nvidia, azienda leader nel campo delle unità di elaborazione grafica (GPU), ha registrato una perdita del 16,86% pari a circa 589 miliardi di dollari di capitalizzazione.

Tutti ora si domandano se sta per esplodere una nuova bolla speculativa legata all’intelligenza artificiale e se la Cina ha sopravanzato gli Usa in questo settore strategico. Proviamo quindi a ricostruire i fatti, il contesto e a ipotizzare gli scenari futuri.

La bolla dell’AI?

Sono anni che il NASDAQ si gonfia (+111% in 5 anni con una caduta nel 2022) spinto dai titoli legati all’AI. Una dinamica che per certi versi potremmo definire “normale”, dato che quasi all’unanimità  gli analisti e gli imprenditori in genere sono convinti che l’intelligenza artificiale sarà centrale da qui al futuro. Gli investitori quindi hanno puntato e puntano su quelle aziende che sono riferimento in questo campo   o addirittura quasi monopoliste come nel caso di Nvidia.

Se si tratti di una bolla come nel 2000, ovvero di titoli fortemente sopravvalutati rispetto alla loro reale capacità di generare utili nel presente e soprattutto nel futuro, è però difficile a dirsi.
Su questo tra gli addetti ai lavori ed in particolare tra americani ed europei ci sono pareri discordanti. Tendenzialmente nel vecchio continente ci si dichiara allarmati mentre dall’altra parte dell’oceano si tende a relativizzare i rischi. Anche la BCE nell’ultimo suo “Financial stability review” pubblicato a novembre 2024 afferma che “le recenti correzioni di mercato non hanno dissipato le preoccupazioni sulla sopravvalutazione dei mercati azionari o il potenziale di una bolla dei prezzi degli asset legati all’intelligenza artificiale”. Preoccupazioni che però si scontrano, come segnalato da molti addetti del settore, con l’analisi dei fondamentali delle principali aziende legate all’AI e che raccontano una situazione molto diversa rispetta a quella che determinò il repentino crollo dei listini 25 anni fa.

La differenza principali rispetto a quanto avvenuto ad inizio millennio sta nel fatto che le Dot-com solitamente erano aziende in perdita, ma che si ipotizzava potessero generare utili nel futuro,  mentre quelle che operano nel settore dell’AI sono già da diversi anni molto profittevoli, ad esser precisi le più profittevoli di tutto lo S&P500 (le Megacap tecnologiche dello S&P500 hanno visto nel 2023 aumentare gli utili del 35% mentre il resto dell’indice ha registrato un -4%, nel 2024 invece +34% contro  un +5%).  In particolare, tra il 2023 e il 2024 Nvidia ha triplicato il suo valore ma ha anche quintuplicato gli utili. Insomma, nonostante l’enorme crescita delle quotazioni, questi titoli mantengono un buon rapporto prezzo/utili. Per la precisione, il Nasdaq 100 al momento tratta a 27 volte gli utili attesi nei prossimi 12 mesi, che è un valore superiore alla sua media storica di 22 ma ben lontano dalle 80 che si registravano nel 2000.

A questo i più perplessi ribattono affermando che la gran parte degli utili in questione non derivano direttamente dalle attività legate all’Intelligenza Artificiale ma dagli altri prodotti e servizi che tali aziende vendono ed erogano. Si tratterebbe quindi di una corsa all’oro in cui si stanno arricchendo in particolare coloro che vendono badili e picconi (vedi Nvidia).

Sempre a differenza delle imprese pioniere del web, che spesso erano poco più di un’idea e a caccia di risorse, queste aziende  hanno fatto e hanno in cantiere investimenti importanti sulla base di piani ben delineati. Un aspetto che da una parte viene considerato come punto di forza mentre dall’altra di debolezza, in quanto in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi il danno si rivelerebbe particolarmente ingente determinando una grossa insoddisfazione degli investitori.

In questi 25 anni, poi, è cambiata radicalmente la normativa sia in UE che in USA relativamente ai servizi di consulenza finanziaria, la clientela retail molto difficilmente può investire i propri risparmi direttamente su titoli azionari caratterizzati da alta volatilità.

Ma uno degli aspetti assolutamente nuovi di questo momento e che rende complessa la lettura e le previsioni è l’enorme concentrazione della capitalizzazione. Sempre nel suo bollettino la Banca Centrale Europea, infatti, sottolinea che “la concentrazione della capitalizzazione del mercato azionario e degli utili tra una manciata di singoli nomi, in particolare negli Stati Uniti, è aumentata notevolmente negli ultimi anni”. Le cosiddette “Magnifiche 7” (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla) rappresentano più di un terzo della capitalizzazione dello S&P500  (al momento della bolla Dot-com si era attorno al 20% mentre la media degli ultimi 30 anni è 16,5%) e quasi un quarto dell’MSCI WORLD. Come dice la BCE, anche gli utili si concentrano tra queste 7 aziende: nello specifico rappresentano il 24% dello S&P500. In pratica al momento l’andamento del mercato dipende in buona parte da quello delle magnifiche 7. Una situazione inedita e oggettivamente pericolosa perché c’è poca diversificazione del rischio, ma che alcuni tendono a reputare accettabile facendosi forza sul fatto che ormai tali aziende sarebbero Too Big Too Fail.

L’estrema concentrazione però non riguarda solo capitalizzazione e utili ma anche gli azionisti. Il mercato ora è infatti sempre più dominato da investitori istituzionali, società di investimento e consulenza che gestiscono e indirizzano fondi come le famose Big Three (BlackRock, Vanguard e State Street). Tanto per dare un’idea, le Big Three a ridosso del 2000 controllavano circa il 5% del capitale azionario dello S&P 500 mentre ora sono oltre il 20%.

Questo è un altro aspetto che non si può sottovalutare nel momento in cui si stima la possibilità di creazione di una bolla speculativa. In tal senso questa nuova caratteristica dei mercati potrebbe incidere in termini di stabilità, in quanto tali soggetti hanno tradizionalmente posizioni lunghe (detengono i titoli tanto tempo e non vanno confusi – come spesso accade – con gli hedge funds, fondi speculativi che comprano e vendono in continuazione e scommettono al ribasso).

Infine, senza approfondire eccessivamente, non si può non notare che al momento mancano una serie di segnali tecnici che spesso preludono all’esplosione di una bolla speculativa come, ad esempio, un’impennata delle operazioni di fusione e acquisizione e delle offerte pubbliche iniziali.

In conclusione, alla luce dei dati e di queste riflessioni, è estremamente difficile affermare con certezza se ci si trova o meno alla vigilia dell’esplosione di una bolla speculativa e di un crollo dei mercati finanziari. I mercati solitamente anticipano ciò che avviene in quella che normalmente viene definita “economia reale”, ma proprio sull’andamento di quest’ultima ci sono molte incognite. Incertezze dovute al fatto che, come ipotizzano in molti, potremmo trovarci nel corso di una nuova “rivoluzione industriale” che potrebbe produrre un forte aumento della produttività, con conseguenze al momento imprevedibili in termini di occupazione e consumi.

A nostro parere, con tutte le cautele e i dubbi del caso, è sì probabile che i titoli del settore tecnologico siano in parte sopravvalutati, ma non siamo ancora in presenza di una bolla ed è pertanto probabile che assisteremo a delle correzioni (alcune anche severe), ma non ad un crollo.

Il dato più importante che emerge è che siamo in una fase nuova, non paragonabile alle precedenti, dove concentrazione e centralizzazione dei capitali sono ai massimi livelli storici.

Al complotto!

Altra domanda che si fanno in tanti è se a determinare il lunedì nero dei titoli tecnologici sia stata la grande speculazione e se in realtà la vicenda di DeepSeek sia stata enfatizzata ad arte per perseguire non ben specificati secondi fini.

A confutare questa ipotesi ci sono però i dati. Nello specifico quelli relativi alle vendite allo scoperto, che sono uno dei principali segnali di movimenti speculativi. Nella giornata di lunedì scorso, appena l’1,2% del flottante di Nvidia è stato venduto allo scoperto e questo nonostante prendere in prestito le sue azioni costi poco (0,3% contro la media dello 0,45% delle azioni statunitensi).

Allora cosa è accaduto esattamente? Con il rilascio dei modelli V3 e R1, DeepSeek ha dimostrato che la strada dell’implementazione dell’AI non passa solo dall’incremento delle capacità computazionali delle GPU. Infatti, “finora il progresso si è svolto principalmente “scalando” le dimensioni dei modelli e quindi dei computer usati” (come ben ricorda in un suo recente articolo il professor Nello Cristianini), mentre V3 e R1 hanno dimostrato che i chip, seppur centrali, non sono l’unico elemento e che si può far molto meglio anche dal punto di vista del software e dell’architettura.

In buona sostanza, questa piccola start up cinese con un budget molto limitato è riuscita a ottenere risultati simili a quelli dei competitor americani utilizzando chip Nvidia meno performanti e l’ha fatto in meno tempo e consumando meno.

Inevitabile quindi che i mercati abbiano scontato questa novità che in parte cambia lo scenario dell’AI. Gli investitori, come tutti gli addetti ai lavori, erano convinti della centralità dei “super computer” e quindi erano certi del vantaggio delle aziende americane.

Se si possono ottenere certi risultati con materiale “di serie B” è evidente che l’azienda produttrice ne risenta e perda valore, e quindi che i fondi e gli investitori in genere riducano la propria esposizione su quel titolo vendendone una parte e cercando altrove altre possibilità di profitto (per inciso spesso questi movimenti di mitigazione dell’esposizione sono fatti direttamente da modelli di AI).

Questo è ciò che è accaduto sui mercati finanziari, fuori da ogni complottismo. La vicenda di DeepSeek però è estremamente interessante non solo per i suoi risvolti finanziari, ma soprattutto rispetto al come si sta progredendo nel campo dell’intelligenza artificiale.

Operazione DeepSeek

Le prestazioni di DeepSeek hanno fatto scalpore perché sono state ottenute utilizzando le GPU Nvidia H800 che sono un particolare modello a prestazioni ridotte e più difficile da assemblare per costruire “super computer”. Utilizzano l’H800 non per scelta ma perché, con fare mafioso, gli USA hanno proibito la vendita di chip di ultima generazione alla Cina (ora Nvidia non potrà vendergli neanche questa versione depotenziata).

Per capire da dove nasce quest’atto di incredibile prepotenza, che va contro non solo la favola del libero mercato, propagandata da sempre dagli Stati Uniti, ma contro le possibilità di progresso tecnologico del genere umano, occorre fare velocemente il quadro dello scontro in atto a livello mondiale nel campo dell’AI.

Ad oggi le aziende USA sono molto superiori nella progettazione e produzione di chip, e difficilmente questo gap potrà essere colmato a breve. Pechino, in attesa di diventare autonoma da questo punto di vista, come tutti compra chip dagli americani e prova a creare propri modelli di AI. Temendo che i modelli di AI cinesi possano competere con i suoi, Washington ha deciso di imporre pesanti limitazioni alla vendita di alcune tipologie di chip tanto che Nvidia ha creato l’H800 – un modello depotenziato dell’H100, quello che usa ChatGpt per intenderci – fatto ad hoc per il mercato cinese.

A questo punto inizia la storia di DeepSeek, che è molto interessante sotto vari punti di vista. Una storia per certi versi molto Silicon Valley degli esordi, un po’ visionaria e un po’ “socialista” (poi vedremo in che senso).

Davanti a restrizioni come quelle imposte dagli USA molti avrebbero gettato la spugna, e invece no. A differenza di quanto pensano alcuni, non il governo della Repubblica Popolare, non Xi Jinping, ma Liang Wenfeng fondatore del fondo speculativo cinese High-Flyer (che utilizza già sistemi di AI per il trading) ha un’idea: prendiamo una gruppo di giovanissimi, laureati al massimo da due anni nelle migliori università del paese e vediamo se riescono a fare qualcosa con il materiale di seconda qualità a disposizione.

A quanto si apprende da alcuni articoli, Liang Wenfeng avrebbe inizialmente cercato anche altri finanziatori, ma sembra che nessuno abbia creduto alla possibilità di riuscire nell’impresa di fare qualcosa di simile a ChatGpt e Gemini con quei componenti e quindi il budget si è limitato ad appena 6 milioni di dollari mentre i competitor americani hanno avuto a disposizione 100 milioni e chip di ultima generazione.

A questi giovani viene data massima libertà e loro strategicamente scelgono la formula open source in modo da poter avere il contributo di un numero illimitato di utenti e ricercatori.

Altra scelta fondamentale è l’utilizzo dell’architettura MoE (Mixture of Experts) che permette di attivare solo la parte di parametri effettivamente necessaria al compito migliorando contemporaneamente velocità ed efficienza. È importante sottolineare quest’ultimo aspetto, in quanto i consumi energetici sono il principale tallone d’Achille dei modelli di intelligenza artificiale e costituiscono un grande rischio dal punto di vista del possibile impatto ambientale che potrebbe determinare una loro diffusione (i consumi dei data center, secondo l’ultimo report del Berkeley Lab pubblicato a dicembre scorso, rappresentavano negli Usa l’1,8% del totale nel 2018 mentre oggi sono il 4,4% e secondo le previsioni arriveranno ad essere tra il 6,7% e il 12% nel 2028).

Il resto della storia ormai la conoscono tutti. In due anni i giovani del team di ricerca di DeepSeek riescono nell’impresa: quello che gli americani fanno con 16.000 chip loro lo fanno con 2.000 pezzi e l’addestramento della macchina è stato svolto in un tempo 10 volte inferiore.

Una lezione di vita per certi versi. Ad un attacco frontale hanno reagito con un contrattacco laterale, hanno pensato fuori dagli schemi, hanno fatto di necessità virtù trasformando un problema in un’opportunità. Hanno avuto un approccio dialettico e hanno dimostrato la potenza della condivisione e della cooperazione. In questo senso è una storia che parla di socialismo.

Futuro e presente dell’AI

Tutto ciò cambierà nel medio periodo i rapporti di forza tra USA e Cina nel campo dell’AI? Non è detto. Le aziende USA quasi certamente impareranno da DeepSeek e, avendo a disposizione materiale superiore, arriveranno a sviluppare modelli ancor più performanti.

Ci pare però di poter dire che DeepSeek ha impresso una svolta nel mondo dell’Intelligenza Artificiale e che l’impresa di questi giovani cinesi sospingerà ulteriormente la ricerca in tutto il mondo, anche tra chi ha meno risorse. Un’AI a costi più bassi potrebbe determinare una maggiore diffusione di questi modelli, che cambieranno sempre più il modo di lavorare e di vivere. Inoltre, aver individuato delle soluzioni per contenere i consumi energetici potrebbe fornire una prima risposta ai giusti timori legati alla diffusione dell’AI che, come detto, sta determinando un consistente aumento della domanda di energia (non a caso a seguito del rilascio dei modelli di DeepSeek si sono registrati forti cali sui listini anche delle aziende energetiche in particolare quelle legate al nucleare).

La questione più centrale e urgente, a questo punto, è come impedire che l’intelligenza artificiale venga utilizzata, limitata, rallentata e tenuta in ostaggio dalla sete di profitto di pochi e non messa a disposizione e gestita nell’interesse dell’intero genere umano, per migliorarne le condizioni di vita e di lavoro, avendo però la capacità di renderla ecocompatibile.

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